I segreti del backstage… è finito il tempo degli eccessi?

Tante personalità ingombranti concentrate in uno spazio risicato, un’evidente ansia da prestazione collettiva, l’obbligo che tutto fili liscio. Ma l’aria del backstage è cambiata.

C’era un tempo in cui il mezzo per sapere qualcosa di più sulle nostre star preferite erano le voci di corridoio e gli scatti rubati. La leggenda correva su canali al limite della legalità, quando la privacy diventava terreno di gioco degli avvocati solo quando il danno era già stato fatto.

Quel poco che arrivava alle nostre orecchie e ai nostri occhi finiva per costituire il materiale del mito.

In senso più ampio, lo stesso mondo del backstage cinematografico o televisivo rimaneva una oscura sala macchine: chissà quali magie contribuivano a dar vita a capolavori e palinsesti.

Oggi, c’è il web e ci sono i social, e dei nostri idoli sappiamo ogni cosa. Li vediamo senza trucco e con i capelli arruffati del risveglio, con tute sformate addosso mentre agguantano uno Starbucks al volo, o ancora mentre si dedicano ad attività eccezionali tipo fare yoga, portare a spasso il cane, scrollare lo schermo dello smartphone, applicare maschere facciali dai colori iniqui.

Meglio gli dei irraggiungibili e scatenati, o quelli scesi tra noi?

Come funziona il backstage

Leggiamo in un volume dedicato al backstage del più celebre premio cinematografico: alla fine, gli Oscar sono una schiera di galline alle quali è stata tagliata la testa, e che per quattro mesi corrono da tutte le parti senza sapere perché, fino al giorno della cerimonia, che in qualche modo funziona sempre.

I backstage sono macchine oliate, ma – fatte le dovute eccezioni – a dettare legge non sono i capricci delle star, bensì le tabelle che contengono orari rigidissimi, i compiti assegnati con precisione, e nessun margine per l’improvvisazione.

Gli assistenti corrono da una parte all’altra, e intere carriere professionali sono dedicate al funzionamento senza attriti di macchine sempre più complesse. Il backstage non è più quel mondo incasinato e pazzo descritto dalla serie televisiva Boris. Colpa (o merito) di un mercato dell’intrattenimento dai tempi sempre più stringenti.

E lo spazio per l’ego e le mattane degli artisti, allora?

Sono tempi che cambiano, in meglio

Al di là dei rotocalchi, la fonte numero uno di aneddotica del backstage è data dalle biografie di attori e registi, nonché da alcuni libri dedicati al retroscena cinematografico.

C’è qualche colpo di matto, sì. Ci sono alcuni rider piuttosto complicati da gestire (rider è il nome in gergo della lista di cose da far trovare ad una star al momento del suo arrivo in backstage). E sì, ci sono i “dieci minuti in camerino per me” che diventano ore – e ritardi – interminabili.

Fin qui tutto bene.

Leggiamo meglio, però, e scopriamo che prima della nuova sensibilità – #metoo su tutti – il mondo del backstage era una giungla di comportamenti che oggi non sarebbero più tollerabili.

La recente uscita di Hugh Grant, insomma – “Sul set non ci si innamora più come una volta” – più che la fine del romanticismo, sembra segnare il viale del tramonto di certe molestie.

Sono tempi che cambiano, in peggio (si fa per dire)

C’è un adagio che recita all’incirca che nessuna storia inizia con “stavo mangiando un’insalata”. È innegabile: un buon thriller comincia in un sordido bar, la serie Mad Men è battezzata con cocktail e sigarette, le prime battute di una serie storica ti catapultano nel mezzo di una battuta di caccia.

Mettiamo le mani avanti: non vuole essere un invito all’eccesso, anche perché nulla potrà mai neanche avvicinarsi a quelli delle rockstar anni Ottanta. Eppure, è innegabile: qualcosa è cambiato, nella percezione del pubblico, da quando le star sono scese tra noi con le tute e i cani al guinzaglio di cui sopra.

Più tisane in divano, meno peggiori bar di Hollywood Boulevard.

Sono tempi healthy, quelli che stiamo vivendo, ed è un bene. Eppure, quando scopriamo dall’Instagram di un attore (del quale non faremo il nome) che “c’è da emozionarsi quando in camerino trovo la macchina del caffè, le cialde decaf e una bottiglia da mezzo di [nota marca italiana di acqua frizzante]”, non possiamo non ripensare con nostalgia all’immortale Orson Wells brillo e biascicante che pubblicizza il vino californiano.

Almeno da litro, la bottiglia di minerale, cavoli!

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